La Conferenza dei governi cantonali (CdC) adotterà domani la sua presa di posizione concernente il progetto di accordo istituzionale con l’UE. L’UDC invita l’assemblea plenaria della CdC a rifiutare l’accordo. Il divieto degli aiuti pubblici imposto da questo accordo concerne infatti l’insieme delle attività dei cantoni, dei comuni e della Confederazione. Esso minerebbe alla base il federalismo svizzero, come pure l’autonomia cantonale e comunale.
Firmando l’accordo istituzionale con l’UE, la Svizzera sarebbe costretta a riprendere automaticamente del diritto UE, dunque anche il divieto degli aiuti pubblici imposto da Bruxelles. Questa norma è sancita nell’articolo 8° dell’accordo, che riflette la norma di base del diritto UE concernete gli aiuti pubblici e, concretamente, nell’articolo 107 del trattato che descrive il funzionamento dell’Unione europea. Un sì all’accordo è dunque anche un sì alla “soft law” conformemente al Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).
Questa “soft law”, quindi una disposizione senza effetto giuridico vincolante, è tuttavia tutto salvo che innocua, come si è compreso dal dibattito sul Patto dell’ONU per le migrazioni. Questo patto ha infatti delle gravi conseguenze per i paesi che lo sottoscrivono, perché conduce a una libera circolazione delle persone a livello mondiale. Spalancherebbe le porte ai migranti della povertà e ai migranti economici che già oggi pesano gravemente sul nostro sistema sociale.
I cantoni e i comuni si giocano tutto
La “soft law” concernente il divieto degli aiuti pubblici comprende una serie di comunicazioni esplicative che la Commissione europea ha emesso per diversi settori, come quelli dell’energia e dell’ambiente. Analizzando il progetto di accordo istituzionale, i suoi allegati e diversi pareri giuridici redatti a questo proposito, si constata chiaramente che le comunicazioni concernenti gli aiuti pubblici hanno sì la forma di “soft law”, ma sono di grande importanza giuridica, in particolare per la giurisprudenza della Corte di giustizia UE.
Ciò significa che, con questo progetto di accordo istituzionale, i cantoni si stanno giocando tutto. Infatti, il divieto degli aiuti pubblici concerne la totalità delle attività dei cantoni, dei comuni e della Confederazione, e minerebbe alla base il federalismo e l’autonomia cantonale e comunale. Sarebbero colpiti degli strumenti cantonali e comunali come il promovimento economico, gli investimenti nella forza idrica, gli incentivi alla costruzione di alloggi o le garanzie statali date alle banche cantonali. Inoltre, sarebbe minacciato il diritto fiscale legittimato a tutti i livelli.
Philipp Zurkinden, professore di diritto UE della concorrenza all’Università di Basilea, arriva alla conclusione che un sì all’accordo istituzionale metterebbe sotto pressione molti aiuti pubblici che fanno parte della quotidianità nei cantoni – per esempio, nell’insieme degli scambi di merci fra la Svizzera e l’UE. Egli arriva a questa conclusione in un parere giuridico sull’accordo istituzionale che ha redatto su richiesta della Commissione dell’economia del Consiglio nazionale. Delle misure di promozione turistica come il progetto di ristrutturazione della ferrovia della Jungfrau non sarebbero certamente più possibili perché, dal punto di vista dell’UE, provocherebbero delle distorsioni della concorrenza.
L’UE estende insidiosamente la sua sfera d’influenza
Ma non è tutto. Secondo il professor Philipp Zurkinden, esperto in diritto UE della concorrenza, l’Unione europea ha costantemente esteso, dal 1972, il concetto di aiuto pubblico. Essa ha, in particolare, qualificato come aiuti pubblici le agevolazioni fiscali concesse alle imprese. Orbene, questi interventi dello Stato sono importanti per molte regioni periferiche della Svizzera, perché compensano gli inconvenienti dovuti alla lontananza dai grandi centri. In caso d’entrata in vigore dell’accordo istituzionale, questa politica non sarebbe più possibile. Questo trattato minaccia anche diversi contributi e sovvenzioni pubbliche nei settori dell’agricoltura, degli ospedali cantonali, delle istituzioni culturali, delle società sportive, delle piscine e molti altri.
Poiché l’accordo istituzionale non tocca solo gli accordi bilaterali esistenti, ma anche quelli futuri, l’UE potrà subdolamente e costantemente estendere la sua influenza a scapito dell’autonomia cantonale e comunale. Non ci si potrà nemmeno consolare in Svizzera, dicendosi che Bruxelles è lontana, perché l’articolo 8B dell’accordo istituzionale postula la creazione di una “autorità di vigilanza indipendente” incaricata di vegliare sulla “applicazione completa e illimitata delle disposizioni [UE]” sugli aiuti pubblici. L’UE esige che questa autorità di sorveglianza applichi la prassi UE più recente secondo l’articolo 107 TFUE, compresa la “soft law” attualmente in vigore. Ciò significa, in parole povere, che la firma dell’accordo comporta una sorveglianza completa da parte dell’UE del modo come la Confederazione, i cantoni e i comuni praticano gli aiuti pubblici.
Numerose ragioni per dire no
Le ragioni evocate qui dovrebbero essere sufficienti per convincere la Conferenza dei governi cantonali a rifiutare l’accordo istituzionale. Questo trattato compromette la democrazia diretta, disprezza l’indipendenza, la neutralità e il federalismo, e minaccia la sicurezza sociale della Svizzera. Il Consiglio federale deve quindi essere invitato a respingere questo progetto di accordo istituzionale e a far capire, gentilmente ma fermamente, all’UE che la Svizzera è sì interessata a delle buone relazioni fra partner a pari diritti, ma che non firmerà mai un accordo che viola l’articolo che definisce lo scopo primario della Costituzione federale, ossia la salvaguardia dell’indipendenza del paese e dei diritti del popolo.