L’UDC chiede con urgenza il lancio di un programma di rivitalizzazione per salvaguardare l’impiego in Svizzera. Delle tensioni politiche e delle crisi stanno attualmente causando un rallentamento economico mondiale che tocca anche la Svizzera. Nuove regole d’imposizione internazionali rischiano di privare la Svizzera di introiti fiscali per miliardi di franchi. Ma la minaccia è anche interna: nonostante questa difficile situazione, i socialisti e gli ecologisti di tutti i partiti spendono a piene mani il denaro dei contribuenti e soffocano l’economia svizzera con la loro mania regolamentatrice.
Il clima economico si sta deteriorando come negli anni 2008/2009. Tempi difficili attendono la Svizzera e la sua politica economica liberale che ha fatto finora il suo successo. Le prospettive dell’industria d’esportazione si sono oscurate. A fine agosto, l’industria delle macchine, degli apparecchi elettrici e della metallurgia (Swissmem) ha lanciato un appello disperato di fronte al sensibile calo delle ordinazioni durante il primo semestre 2019. «Le ordinazioni in questo settore sono calate di quasi il 20% durante il secondo trimestre, rispetto allo stesso periodo del 2018», ha spiegato Magdalena Martullo, consigliera nazionale (GR) e imprenditrice, in occasione di una conferenza stampa a Berna. «Stiamo assistendo a un forte aumento del numero di richieste di riduzione dell’orario di lavoro nell’organizzazione Swissmem, ciò che conferma una crescente insicurezza in questo settore perché il lavoro comincia a mancare in molte aziende», ha aggiunto.
Gli interessi negativi sono nocivi per l’economia. Inoltre, minacciano la solidità finanziaria delle istituzioni sociali, in particolare quella delle casse pensioni in quanto investitori istituzionali. Parallelamente, la Confederazione, i cantoni e i comuni rischiano di perdere degli introiti fiscali per miliardi di franchi a seguito delle nuove norme d’imposizione internazionali. Spiegazione di Thomas Aeschi, consigliere nazionale (ZG) e presidente del gruppo parlamentare UDC: «La comunità internazionale ha l’intenzione di non più tassare le imprese dove producono, bensì dove vendono le loro merci e prestazioni di servizio. La Svizzera perderebbe più di dieci miliardi di franchi di introiti fiscali.» Inoltre, molte imprese globali, ma anche regionali, potrebbero essere incentivate a spostare la loro sede principale all’estero.
Ma la sinistra e i Verdi continuano allegramente ad attingere…
Nonostante queste prospettive difficili, i socialisti ed ecologisti di tutti i partiti continuano a soffocare senza tregua l’economia con sempre nuove regolamentazioni ed esigenze. Questo comportamento minaccia i posti di lavoro. Il caso degli aerei Pilatus dimostra quanto questi ambienti ostacolino l’industria d’esportazione con regole nuove o nuovamente interpretate. L’attività economica di interi settori è compromessa da costrizioni tanto inutili quanto soffocanti, come l’iniziativa sulla responsabilità delle imprese o i divieti pubblicitari.
Parallelamente, la sinistra spende a piene mani il denaro dei contribuenti in progetti come il congedo paternità o la settimana di 35 ore, tutte rivendicazioni che rincarano il lavoro, e quindi provocano la sparizione di impieghi. «La sinistra e i Verdi cercano di sostituire lo spirito imprenditoriale svizzero con una dittatura burocratica che distrugge le condizioni-quadro delle imprese», ha constatato Jean-François Rime, consigliere nazionale (FR) e presidente dell’Unione svizzera delle arti e mestieri. L’isteria climatica sostenuta da questi stessi ambienti costerà molto cara alla popolazione. Già solo gli aumenti di prezzo approvati dal Consiglio degli Stati per l’olio da riscaldamento, carburanti e biglietti d’aereo, costituiscono un onere annuo supplementare di 1’500 franchi per una famiglia media di 4 persone. Ma non è tutto: degli aumenti fiscali sono prevedibili nei cantoni e nei comuni che devono pagare il conto della generosa accoglienza offerta a migliaia di migranti economici. Questi costi sono stimati a circa un miliardo di franchi.
Immigrazione e rischio di povertà
L’immigrazione incontrollata che la Svizzera sta subendo pesa gravemente sul sistema sociale svizzero. Un’inchiesta ha rivelato che i cittadini UE/AELS si trovano in disoccupazione quasi due volte più spesso degli Svizzeri. Essi attingono molto più denaro dalla cassa disoccupazione, di quanto non ve ne versino con i loro premi. Ben sei beneficiari dell’aiuto sociale su dieci sono stranieri, l’afflusso di persone sovente poco qualificate avviene via asilo e libera circolazione delle persone. La recessione che incombe aggraverà questa situazione: quando l’economia rallenterà in Germania, Francia, Spagna e Portogallo, un numero crescente di persone verrà a cercare lavoro in Svizzera – grazie alla libera circolazione delle persone!
Le conseguenze pratiche di questa evoluzione per le Svizzere e gli Svizzeri sono state illustrate da Marco Chiesa, consigliere nazionale del canton Ticino: «La libera circolazione delle persone non è, come non si cessa di dirci, una fonte di prosperità. È l’esatto contrario. Il numero di frontalieri attivi in Ticino è esploso, in particolare nel settore dei servizi. I lavoratori nazionali sono costantemente sostituiti con manodopera a buon mercato importata.» Da cui una massiccia pressione sui salari: «In nessun’altra parte della Svizzera i salari sono bassi come in Ticino.»
Solo l’UDC si oppone a questa evoluzione – anche dopo le elezioni
Bisogna reagire vigorosamente di fronte a questa evoluzione. Oltre a una gestione autonoma dell’immigrazione, la Svizzera ha bisogno di un solido programma di rivitalizzazione per salvaguardare i suoi posti di lavoro. L’UDC ha depositato un intervento parlamentare (19.3043) in questo senso, che è stato approvato dal Consiglio federale e dalle due camere legislative. Per evitare il crollo delle sue esportazioni, la Svizzera deve cercare di stipulare nuovi accordi di libero scambio, tenendo particolarmente conto della situazione particolare della sua agricoltura. L’UDC reclama inoltre una liberalizzazione e una deregolazione del mercato del lavoro, l’arresto dell’espansione dello Stato sociale e la fine della concorrenza delle imprese pubbliche nei confronti dell’economia privata.