Due anni dopo l’accettazione dell’iniziativa “Affinché i pedofili non lavorino più con fanciulli”, il Consiglio federale presenta finalmente il suo messaggio sulla legge d’applicazione. Il governo si ostina a rifiutare un’applicazione conforme all’iniziativa. Il messaggio presentato si basa sul compromesso che il comitato interpartitico ha già criticato un anno fa. La legge proposta permette di eludere molto facilmente l’interdizione professionale a vita dei delinquenti condannati. La principale richiesta dell’iniziativa non viene così rispettata.
L’iniziativa “Affinché i pedofili non lavorino più con fanciulli” esige che le persone condannate per aver attentato all’integrità sessuale di fanciulli o di persone dipendenti, perdano definitivamente il diritto di lavorare con dei minorenni o delle persone dipendenti, sia nell’ambito della professione o del bene volato. L’intenzione è chiara e comprensibile: bisogna proteggere i bambini dai recidivi.
Il Consiglio federale rifiuta di applicare questo mandato. È falso affermare, come fa il Consiglio federale nel suo comunicato, che grazie a questa legge i pedofili condannati non potranno mai più lavorare con dei fanciulli. È vero il contrario, perché questo progetto di legge prevede numerose eccezioni. Il Consiglio federale si nasconde dietro il principio di proporzionalità e se ne serve quale pretesto per rinunciare in certi casi a un’interdizione professionale a vita. Fra queste eccezioni c’è in particolare l’art. 187 (atti sessuali con fanciulli), l’art. 188 (atti sessuali con persone dipendenti) o l’art. 197 (pornografia). È assurdo rinunciare a decretare la misura d’interdizione a vita per gli autori di tali atti come richiesto dall’iniziativa: la protezione delle nuove vittime potenziali deve avere più peso del desiderio del delinquente di poter di nuovo lavorare con delle vittime potenziali.
Gli esempi avanzati dal Consiglio federale non sono pertinenti o sono riprodotti in modo incompleto nel messaggio (cfr. messaggio p. 48 e seg.):
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Questi fatti tendono a dimostrare che evidentemente questi problemi non esistono ancora o che i tribunali dispongono già oggi di un margine d’apprezzamento sufficiente per emettere delle sentenze soddisfacenti.
La malafede di cui dà prova il Consiglio federale portando questi esempi per evitare di applicare fedelmente l’iniziativa è intollerabile. Il Parlamento è invitato a cancellare le eccezioni ingiustificabili e a vegliare su un’applicazione rigorosa dell’iniziativa. Anche la proposta del Consiglio federale di permettere un riesame dell’interdizione professionale dopo dieci anni deve essere rifiutata con determinazione. Essa va in senso opposto all’articolo costituzionale votato dal popolo. L’intenzione dell’iniziativa è di far perdere definitivamente ai delinquenti descritti il diritto di lavorare, a titolo professionale o benevolo, con fanciulli o con persone dipendenti. L’articolo costituzionale è chiaro e inequivocabile.
È incomprensibile che il Consiglio federale osi manifestamente dare più importanza ai desideri di delinquenti condannati che non alla protezione dei bambini. Un’interdizione professionale a vita è perfettamente conforme al principio di proporzionalità: innanzitutto, non si tratta di una pena ma di una misura preventiva per impedire casi di recidività, quindi di nuove vittime; in secondo luogo, l’interdizione colpisce solo delle attività professionali o benevole con minorenni o con persone dipendenti, per cui il delinquente può esercitare tutte le altre professioni che desidera.
La protezione dei bambini deve essere prioritaria rispetto ai desideri di malfattori condannati. Il popolo e i cantoni hanno deciso così – e il Consiglio federale deve rispettare la volontà del sovrano.