Comunicato stampa

Consigliere federale Berset, ora basta!

La gestione dell’attuale crisi sanitaria sotto la guida del responsabile del-la sanità pubblica Alain Berset sta danneggiando il nostro paese. Sempre più persone si ribellano alle dure misure e reclamano la loro libertà. Un forte segnale arriva dalle due petizioni “Lockdown stop” e “Pasti caldi per i lavoratori”, che sono state sottoscritte da più di 295.000 persone in breve tempo.

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Tutti i dati chiave relativi alla pandemia sono in costante discesa. Ma il Consigliere federale Alain Berset, e con lui la maggioranza di centro-sinistra del Consiglio federale, non sta minimamente pensando di porre fine al lockdown.  Alla fine della settimana scorsa ha rinviato la decisione in merito agli allentamenti dal 17 al 24 febbraio, dimostrando ampiamente di non preoccuparsi degli immensi danni causati da questa politica.

Anche il fatto che sempre più persone in Svizzera non sostengano più la sua dannosa politica sembra non toccare minimamente il Capo del Dipartimento degli interni, visto che oggi non ha nemmeno ritenuto necessario prende in consegna personalmente le due petizioni “Lockdown stop” e “Pasti caldi per i lavoratori”, che in poche settimane sono state firmate da più di 295’000 persone. Le petizioni sono state presentate dalla piattaforma politica e apartitica “Schwiiz Brandaktuell”, dalla consigliera nazionale dell’UDC Monika Rüegger e dall’UDC Svizzera. Le petizioni chiedono un allentamento immediato mantenendo i concetti di protezione e allo stesso tempo proteggendo efficacemente i gruppi a rischio.

50’000 firme in 5 giorni

 La petizione “Lockdown stop”, sostenuta dall’UDC Svizzera, è stata lanciata a metà gennaio da “Schwiiz Brandaktuell”. “Quando il 13 gennaio il Consiglio federale ha deciso di estendere e inasprire le misure, anche se i contagi nella media dei 7 giorni si erano ridotti di tre quarti rispetto all’autunno e la tendenza era al ribasso, abbiamo pensato che dovevamo fare qualcosa”, dice Leroy Bächtold, di “Schwiiz Brandaktuell” e membro di comitato dei Giovani liberali della città di Zurigo. Già nei primi cinque giorni dal lancio erano state raccolte ben 50’000 firme. “Ciò dimostra che una gran parte della popolazione è stanca dell’isolamento!”

La medesima esperienza l’ha vissuta anche la consigliera nazionale UDC Monika Rüegger (OW): la petizione da lei lanciata “Pasti caldi per i lavoratori” è stata firmata da oltre 50’000 persone in soli otto giorni. “Per il secondo lockdown, è stato regolamentato quasi tutto. Solo i professionisti che lavorano all’esterno sono stati dimenticati. Hanno dovuto mangiare il loro pranzo al freddo per settimane. Inconcepibile”, ha detto Rüegger. La petizione chiede che i ristoranti possano essere aperti in veste di mense per questi professionisti.

“Se gli ospedali e, più recentemente, i ristoranti possono essere trasformati in mense per i camionisti, allora lo stesso deve poter essere possibile per i lavoratori che lavorano all’aperto e al freddo. Queste persone si prendono cura delle nostre infrastrutture e sono importanti dal punto di vista sistemico!”.

Una reazione o un’azione da parte del Consiglio federale è stata attesa per settimane dopo di che, la prima firmataria di “Pasti caldi per i lavoratori”, la Consigliera nazionale Monika Rüegger, insieme ai rappresentanti di importanti organizzazioni nazionali (Gastrosuisse, Unione svizzera degli imprenditori, Conferenza dei direttori cantonali dell’economia pubblica, Sindacati, UNIA), ha trovato una soluzione pragmatica e rapidamente attuabile. C’è da sperare che il Consiglio federale riconosca la situazione estremamente difficile di chi lavora all’esterno e mostri finalmente un po’ di comprensione.

 Lo stato attuale della popolazione lascia Berset indifferente

Tuttavia, i bisogni e la disperazione del popolo sembrano lasciare indifferente il socialista Berset, che non ritiene necessario dedicare qualche minuto alle preoccupazioni della popolazione. Egli preferisce concentrarsi sull’espansione del suo potere e di come può prolungare il suo regime – a scapito a lungo termine della popolazione e del Paese intero. Le conseguenze sono devastanti:

  • L’8,5% della forza lavoro si trova al beneficio dell’orario ridotto.
  • La disoccupazione è salita al 3,7%.
  • Un’ondata di fallimenti senza precedenti colpirà la Svizzera.
  • Ogni giornata di chiusura costa 144 milioni di franchi. Il ceto medio e le future generazioni saranno chiamati a pagare questa politica a suon di aumenti di tasse.
  • Decine di migliaia di persone perderanno il loro posto di formazione e il loro impiego.
  • Innumerevoli aziende temono per la propria esistenza.
  • I giovani stanno perdendo le loro prospettive future.
  • La depressione, la violenza domestica, i suicidi sono in aumento.

“Il lockdown rappresenta un problema enorme anche per noi giovani”, dice Stephanie Gartenmann dei Giovani UDC e membro di Comitato dei Giovani ASNI. Molti giovani non riescono a trovare un posto di tirocinio e molti apprendisti del settore gastronomico non possono lavorare dal mese di novembre, ha detto. “Cosa succederà a loro quando le loro aziende chiuderanno definitivamente? Dove troveranno un nuovo posto di tirocinio? Chi darà loro una prospettiva? E quelli che vivono problematiche tra le quattro mura domestiche? Dove troveranno il sostegno di cui hanno bisogno?”. Oltre all’immenso danno economico, aumenterebbero anche le problematiche sociali. “C’è un crescente aumento di violenza domestica, abusi sui bambini, depressione e suicidi – questi problemi non possono essere semplicemente risolti con il denaro”, ha detto Gartenmann.

“Il costante prolungamento di questa dannosa politica deve finire ora”, ha dichiarato il presidente dell’UDC Marco Chiesa durante la consegna delle firme alla Cancelleria della Confederazione. A partire dal 1° marzo, ha detto, la popolazione deve poter tornare a vivere una vita quasi normale, con concetti di protezione già stati testati e pienamente funzionanti. “Il fatto che le petizioni siano state così ben accolte è un segnale forte del fatto che non possiamo più subordinare le nostre vite al virus. Abbiamo il diritto e il dovere di tornare a vivere e lavorare”.

 
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