Il Consiglio federale ha paura dell’iniziativa «SÌ al divieto di dissimulazione del viso». Ha ragione. Perché, a giusto titolo, gli Svizzeri sono preoccupati per la progressione dell’Islam in Europa, ma anche nel nostro paese. L’iniziativa seduce perfino fra le fila della sinistra, nella quale i più lucidi hanno capito che questa battaglia contro la discriminazione, contro una forma di alienazione, contro l’intolleranza, dovrebbe essere anche la loro, pena mettersi in contraddizione con dei princìpi di sempre. Essa dovrebbe sedurre anche le femministe, anche se i loro personaggi emblematici, il cui silenzio è assordante in questo dibattito, fanno ancora fatica ad ammettere che ciò che questa iniziativa difende è innanzitutto la dignità della donna.
L’iniziativa propone di prevenire un fenomeno in crescita prima che sia troppo tardi, come è successo presso i nostri vicini francesi? Il mezzo proposto (un divieto generalizzato di dissimulare il viso in pubblico) è giudicato ammissibile perfino dalla Corte europea dei diritti dell’uomo? Il divieto di dissimulazione del viso esiste già in diversi altri paesi? Non ha importanza! Il sistema non sopporta l’idea che il popolo, come ha fatto a suo tempo con i minareti o con l’immigrazione di massa, dica chiaramente che tiene a conservare la propria identità. Allora va bene qualsiasi cosa, pur di evitare questo. Da cui, l’idea di un controprogetto indiretto.
Il Consiglio federale fa il gioco degli islamisti radicali …
Di che cosa si tratta? Evidentemente di una semplice operazione “fumo negli occhi”. Il Consiglio federale tenta di farci credere che intende occuparsi del problema. Ma ciò che propone può solo essere inefficace, e lo sa. In ogni caso, il progetto messo in consultazione mira solo a una piccola parte del problema.
Infatti, il Consiglio federale impone l’obbligo di mostrare il proprio viso solo alle autorità (e, oltretutto, solo in certi casi) o quando l’identificazione visuale costituisce l’unico mezzo, per un’autorità, di eseguire un compito di diritto federale (per i compiti di diritto cantonale e comunale, una donna potrebbe dunque rimanere nascosta dietro il suo burqa o il suo niqab?) senza sforzi sproporzionati (sic). È veramente una misura alibi. se si confronta questo progetto all’iniziativa: perché questa chiede un divieto
generale di dissimulazione del viso negli spazi pubblici, nei luoghi accessibili al pubblico o in quelli nei quali sono solitamente fornite delle prestazioni a tutti. È un’altra cosa. E soprattutto, è molto, ma molto più chiara.
Quanto all’idea di trattare penalmente come caso particolare di costrizione il fatto di obbligare una persona a dissimulare il proprio viso, è pure una misura alibi. Perché la costrizione costituisce già oggi un’infrazione penale, oltretutto perseguita d’ufficio (dunque anche in assenza di querela). Se la via proposta fosse adeguata, lo si saprebbe, perché il diritto in vigore, con l’articolo 181 del Codice penale, dovrebbe permettere di condannare quei padri e mariti musulmani che obbligano le loro figlie e mogli a dissimulare il viso, anche se queste non osano sporgere denuncia. Ma di condanne no ce n’è; e niente permette di pensare che ce ne saranno con la norma proposta, che non servirà perciò ad altro che a gettarci fumo negli occhi con una disposizione inefficace, applicata né più né meno di quanto lo sia oggi.
A ciò si aggiunge che, affrontando la problematica dall’angolazione della costrizione, per mezzo del diritto penale, il Consiglio federale trascura il suo aspetto più importante: quello della pressione sociale e familiare che, a favore della progressione dell’Islam qui da noi, spinge sempre più donne a rassegnarsi a questo segno di sottomissione, addirittura d’alienazione.
Fumo negli occhi anche la procedura consistente nell’annegare la problematica del burqa o del niqab in tutto il resto delle discriminazioni di cui le donne sono talvolta vittime. Rimproverare a un’iniziativa – che manifestamente permette di sperare di combattere efficacemente una forma particolare di discriminazione – di non combattere in un solo colpo tutti i comportamenti giudicati discriminatori, è una maniera tanto comoda quanto inaccettabile di proporre agli Svizzeri di non fare nulla per combattere delle pratiche profondamente contrarie alla nostra civiltà e alle nostre tradizioni.
… e quello degli hooligan violenti!
C’è poi da aggiungere che, con il suo progetto, il Consiglio federale trascura totalmente un aspetto che, peraltro, appare chiaramente sia nel testo dell’iniziativa sia nella comunicazione del comitato promotore (in particolare nei manifesti utilizzati per la raccolta delle firme): una lotta più efficace contro coloro che, nelle manifestazioni violente, nelle strade o negli stadi, si nascondono sotto dei passamontagna per turbare l’ordine pubblico. Peraltro, è proprio questo aspetto dell’iniziativa che, fra altri, impedisce di giudicarla discriminatoria (per quanto si possa considerare discriminatorio il divieto di una forma di discriminazione gravemente contraria a concetto più elementare della dignità della donna …).
Agire adesso, prima che sia troppo tardi
Il Consiglio federale considera che indossare degli indumenti che dissimulano il volto costituisca tuttora un fenomeno marginale in Svizzera. Certo. Fortunatamente, d’altronde, anche se già oggi gli Svizzeri, in negozi del nostro paese, possono sentirsi a disagio di fronte a delle donne in niqab. Ma il nostro dovere, visto quanto sta succedendo in certi paesi europei, non è forse quello di prevenire prima di essere costretti a tentare di guarire quando è troppo tardi?
Il governo crede infine che la maggioranza della popolazione si adatterà alla crescita, con quella dell’Islam, del numero di casi nei quali delle donne dissimulano il volto in pubblico. Ebbene, se in seguito il Parlamento si lascerà a sua volta sedurre dall’idea di un inutile controprogetto indiretto, ne riparleremo in votazione popolare …
Appuntamento, dunque, di fronte al popolo!