Non accettiamo più questa messa sotto tutela mediatica. Sosteniamo l’iniziativa «NO Billag». Liberiamoci di questa SSR statale, sovradimensionata, sovrappagata, sopravvalutata e superata. Offriamoci, grazie all’iniziativa «NO Billag», una Svizzera più liberale, più onesta, più aperta, in breve una Svizzera migliore!
«La libertà di stampa è garantita». Ecco quanto enunciava brevemente e succintamente la Costituzione federale del 1848. I padri di questa costituzione liberale si rivolterebbero senza dubbio nelle loro tombe, se sapessero che oggi siamo obbligati a pagare dei canoni obbligatori per finanziare dei programmi televisivi e radiofonici. E che 6’000 collaboratori si sforzano – mediante un budget di 1,6 miliardi di franchi l’anno, finanziato in particolare con un’imposta obbligatoria sui media – d’inculcare nelle tre lingue nazionali la buona parola socialista alle cittadine e ai cittadini di questo paese. E che questa istituzione di monopolio, invece di osservare con occhio critico lo Stato e le sue istituzioni, si è specializzata nel leccare i piedi al Consiglio federale, all’amministrazione e ai deputati politici che la coccolano a loro volta. Guardate soltanto le interviste sprizzanti ossequiosità che la televisione svizzero-tedesca realizza con Doris Leuthard, ministra dei media. Non sono dei resoconti obiettivi, è piuttosto una molestia sessuale! Le trasmissioni della nostra televisione di Stato sono l’unico sonnifero che si assume dagli occhi.
L’articolo 17 dell’attuale Costituzione federale esige certamente la libertà dei media. Ciò vale per la stampa scritta ed elettronica, ma non per la radio e la televisione. Il monopolio della SSR/SRG, che beneficia di canoni riscossi dallo Stato (e che quindi non deve difendere la sua posizione su un mercato libero), costituisce un attentato irresponsabile al regime economico svizzero che poggia sulla libera concorrenza e sulla proprietà privata.
Una volta, i media svizzeri erano totalmente liberi. Erano indipendenti dal dolce veleno delle sovvenzioni e potevano quindi criticare liberamente la classe politica. Dopo il 1922, anno della fondazione della radio svizzera, i salotti dei nostri nonni erano invasi dalle urla di Mussolini da sud poi, dal 1933, dalle urla di Hitler da nord. È comprensibile, in tale situazione, che lo Stato svizzero abbia voluto dotarsi della sua propria rete radiofonica per assicurare la difesa nazionale morale del paese. Ma oggi, siamo circondati da democrazie che pretendono perfino di essere nostre amiche. Perfino dei trattati di sottomissione all’UE si chiamano ormai «trattati d’amicizia». È strano, in questo contesto, constatare che Roger de Weck, il partigiano più accanito e più cieco dell’adesione della Svizzera all’UE abbia, come direttore generale della SSR, rafforzato questa difesa nazionale morale, sviluppando a pieno ritmo la SSR per difendere il panorama mediatico svizzero contro i cattivi media stranieri.
La televisione svizzera, questa istituzione da far valere che permette ormai non solo di sentire i parassiti negli altoparlanti, ma anche di vederli su uno schermo, si è aggiunta nel 1953. Bisogna tuttavia ammettere che, ai suoi inizi, la Società svizzera di radiodiffusione e televisione (SSR) ammetteva ancora i punti di vista politici di destra, che corrispondevano alle idee della grande maggioranza dei consumatori.
Era ancora l’epoca in cui l’«Arbeiter-Radio-Bund der Schweiz» (ARBUS) protestava contro delle trasmissioni della SSR che giudicava troppo di destra. Dal 1968, la SSR diffonde con tanto accanimento l’ideologia della sinistra che i partiti politici di questo orientamento la difendono con le unghie e con i denti (ma non con il cervello) contro l’iniziativa «NO Billag».
La società Billag è incaricata di incassare il canone obbligatorio. Essa fattura per questo lavoro 55,4 milioni di franchi l’anno, che trattiene dal prodotto dei canoni. Conoscete il modello commerciale della Billag? Cito il Registro di commercio: «redigere le fatture e riceverne i pagamenti». Un’azienda da sogno per qualsiasi imprenditore. Chi non desidererebbe possedere un’azienda il cui unico scopo consiste nell’emettere fatture e riceverne il pagamento? Il presidente del consiglio d’amministrazione di questa ditta si chiama Werner Mari. Un socialista, beninteso.
La SSR possiede un potere smisurato. Essa ne abusa regolarmente per mettere alla gogna persone o imprese che non le aggradano. Siamo spesso ben lungi dai princìpi più elementari del giornalismo. Gli errori professionali non sono un’eccezione, bensì una regola di lavoro sostenuta dallo Stato. I giornalisti della SSR hanno persino il diritto di spiare la gente con delle videocamere nascoste. Questo metodo non può non ricordare quelli della STASI nell’ex-Germania Est. È una disgustosa sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che autorizza la SSR a farlo. Durante la notte elettorale americana, abbiamo dovuto ascoltare i giornalisti del monopolio SSR denigrare a gran voce il nuovo presidente eletto, invece di riportare obiettivamente questo evento. La televisione svizzero-tedesca aveva inviato 340 collaboratori per coprire i giochi olimpici di Soči. tre volte più del numero di sportivi svizzeri presenti. Sandro Brotz, animatore della trasmissione «Rundschau», si comporta regolarmente come un Rambo quando tende il suo microfono a persone che non gli piacciono, ossia perlopiù dei deputati UDC. In compenso, diventa gentilissimo quando intervista un consigliere federale – a meno che questo si chiami Maurer o Parmelin. Le «fake news», le notizie false, non sono state inventate da Donald Trump. La SSR è stata la prima fabbrica di notizie false e siamo pure obbligati a pagarla per questo. La trasmissione «Rundschau» si erge a giudice e falsifica i dossier. Essa pratica la caccia allo «scalp» a nostre spese. E noi, privati e imprenditori, dovremmo essere obbligati a pagare queste pratiche?
Se, per esempio, il settimanale «Weltwoche» incassasse delle sovvenzioni pubbliche, sarebbe prigioniero e non potrebbe più riferire in maniera indipendente e critica. I canoni Billag sono un veleno per il panorama mediatico svizzero. Dipendendo dal denaro dello Stato, la SSR pensa come lo Stato. Ma in realtà, il suo compito è lo stesso di quello della «Weltwoche». Essa dovrebbe – come d’altronde fa l’UDC – scuotere le opinioni pietrificate dello Stato. Signore e Signori, coloro che fanno questo lavoro indispensabile si fanno aspramente criticare, denigrare, diffamare. Ma quando la «Weltwoche» o l’UDC sono finalmente riuscite ad aprire una breccia nella muraglia dello Stato, un anno più tardi, questi signori profumati e in foulard di seta della «NZZ» passano attraverso questa breccia e pretendono di avere sempre difeso questa opinione. Il che, oltretutto, vale loro gli elogi dei loro amichetti.
Osservate dunque ciò che succede in politica europea, nella problematica dell’asilo e dei falsi rifugiati, per ciò che concerne gli abusi sociali, l’immigrazione di massa, la giustizia che coccola i criminali e, adesso, il moloc statale della SSR. Noi siamo sempre stati i primi critici, e ciò ci è valso delle sonore strigliate, fino a quando sono arrivati gli altri, non per darci ragione, bensì pretendendo a gran voce di essere sempre stati di questo avviso. Ma che non l’avevano detto.
Oggi è perfettamente possibile coprire il fabbisogno d’informazione in tutto il paese e nelle tre lingue nazionali per mezzo della stampa scritta e dei media elettronici privati. Le imprese mediatiche locali o regionali sono in grado molto meglio di un’istituzione statale nazionale di rispondere in prossimità alle necessità dei consumatori.
Lo squilibrio economico fra una SSR privilegiata e i produttori privati che si finanziano con la pubblicità, è ingiusto e scioccante. Anche il cosiddetto «splitting» del canone a favore dei produttori privati non è soddisfacente. Il suo principale effetto è quello di aumentare l’influenza dello Stato nel settore mediatico. Inoltre, il principio stesso di questa ripartizione del prodotto dei canoni dimostra uno scacco economico.
È tempo di liberarci del «mandato pedagogico» di una radio e di una televisione statali che si ergono a «istituto educativo della nazione». La SSR è l’espressione di uno Stato patriarcale e di tutela completamente superato. Nella storia generale, le società libere hanno sempre avuto un sistema mediatico liberale. Sono soprattutto gli Stati autoritari che cercano di prendere il controllo della radio e della televisione. Pensate al «Volksempfänger», il ricettore del popolo, diffuso da Goebbels, ministro della propaganda sotto il regime nazista, oppure ai paesi vittime del totalitarismo socialista in URSS o nella DDR, dove lo Stato abusava del monopolio mediatico per manipolare l’opinione pubblica. La liquidazione completa delle istituzioni mediatiche di diritto pubblico risponde a una necessità urgente in tutte le collettività di cittadine e cittadini liberi.
Per tutte queste ragioni, la SSR deve finalmente conformarsi alla nostra economia di mercato moderna e performante, e liberarsi della tutela dello Stato. Non è più tollerabile limitare la concorrenza nel settore della radiodiffusione e della televisione con delle esigenze arbitrarie, e sottrarre una SSR non commerciale al libero mercato delle opinioni. Un’economia liberale rimpiazza infatti vantaggiosamente il controllo statale con il controllo dei consumatori adulti. Quando lo Stato definisce i compiti della radio e della televisione, impone un controllo sui programmi che limita gravemente la libertà dei consumatori. Inoltre, una produttrice di programmi privilegiata dallo Stato è in permanenza esposta al pericolo di interventi statali e politici, una situazione incompatibile con la libertà d’opinione.
Solo i consumatori adulti devono poter decidere il successo o il fallimento di produttori mediatici. In un sistema statale liberale e democratico, sono i soli regolatori legittimi del settore della comunicazione.
Un’autentica concorrenza fra produttori diversi, vicini ai consumatori e mobili, garantirebbe infinitamente meglio e a migliori condizioni il cosiddetto servizio pubblico, di qualunque istituzione mediatica di diritto pubblico privilegiata dallo Stato.