Giornale del partito UDC-Parlar chiaro febbraio 2021

Divieto del burqa, un salvagente per l’emancipazione delle donne nell’Islam.

Il velo integrale è un simbolo dell’islam politico utilizzato dai misogini islamici per sottomettere le donne. Risulta incomprensibile come movimenti femministi e partiti che spesso rivendicano maggiori diritti per le donne combattano questa iniziativa. Ad ogni modo l’esperienza fatta in Ticino, dove già da quattro anni è in vigore il divieto che ora si vorrebbe estendere a tutta la Svizzera, è stata positiva.

Quale donna che non abbia subito un lavaggio del cervello indosserebbe per sua libera scelta un capo opprimente come il Burqa, pesante e di colore scuro il mese d’agosto sotto il sole, quando il marito invece vestito con pantaloncini corti e maglietta, si gusta un gelato in riva al lago? Va detto chiaro e tondo che il velo integrale – il quale impedisce qualsiasi integrazione a chi lo indossa – è un simbolo dell’islam politico utilizzato dai misogini islamici per sottomettere le donne e per rendere visibile nello spazio pubblico la progressione dell’islamismo. Risulta incomprensibile come movimenti femministi e partiti che spesso rivendicano maggiori diritti per le donne combattano questa iniziativa. Mustafa Memeti, Imam di Berna, ha chiaramente affermato che l’iniziativa è il salvagente per l’emancipazione delle donne nell’Islam, a riprova che anche gran parte degli islamici moderati sostengono questa proposta.

Va ricordato che un divieto simile è già in vigore in molti paesi in Europa, ad esempio in Francia, Belgio, Austria, Danimarca, Bulgaria e Lettonia e che la sua liceità è già stata addirittura confermata dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU). Infatti, l’art. 9 della stessa a riguardo di un divieto simile cita “costituiscono delle misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza pubblica, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui”.

Fra gli altri scopi dell’iniziativa vi è quello legato alla sicurezza. Infatti, a seguito del divieto proposto, la polizia potrebbe riconoscere il volto delle persone violente – ad esempio grazie alle immagini della videosorveglianza – durante certe manifestazioni e in occasione di eventi sportivi.

Su una cosa concordo con chi si oppone all’iniziativa. Il fenomeno del velo integrale in Svizzera è oggi fortunatamente ancora un problema marginale, ma – come già successo in molti Paesi – esso è destinato a diffondersi maggiormente, di pari passo con la crescita della radicalizzazione nelle fila dei giovani musulmani, ed è dunque meglio agire preventivamente, prima che sia troppo tardi. D’altronde l’esperienza fatta in Ticino, dove già da quattro anni è in vigore il divieto che ora si vorrebbe estendere a tutta la Svizzera, è stata positiva.

Si tratta insomma di fare una scelta di civiltà e decidere in quale tipo di società vogliamo vivere noi e le future generazioni. Chi opta a favore di una società democratica e dell’uguaglianza dei sessi – non solo a parole – ha la possibilità di lanciare un forte segnale di resistenza contro l’islamizzazione votando Sì il prossimo 7 marzo all’iniziativa “Sì al divieto di dissimulare il proprio viso”.

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Circa l‘autore
Marchesi Piero
UDC Consigliere nazionale (TI)
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