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Anno chiave per i valori della Svizzera!

La Svizzera deve la sua prosperità alla sua democrazia diretta unica al mondo, come pure alla libertà e all’indipendenza a essa legate. Degli scrutini popolari permettono regolarmente di correggere degli errori dei governanti e dei parlamenti ai tre livelli – comune, cantone e Confederazione – nell’interesse del paese. Delle deviazioni a sinistra o a destra – anche se i primi non ci piacciono troppo – sono state regolarmente corrette. Nonostante questo modello dal successo incontestabile, le élite politiche di questo paese cercano a intervalli regolari di forzare la Svizzera a entrare in organizzazioni importanti – senza dubbio perché le costanti correzioni volute dal popolo in occasione di votazioni, rendono loro la vita difficile e limitano il loro potere personale

Albert Rösti
Albert Rösti
Consigliere nazionale Uetendorf (BE)
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È comprensibile che i paesi vicini osservino con rispetto, ma anche con occhio critico, un paese che è riuscito a raggiungere un livello di prosperità così elevato. Ed è anche dopotutto normale che questi paesi desiderino prendere una parte di questa ricca torta. La Svizzera ha dovuto, durante il secolo scorso, difendere ogni circa 25 anni la sua indipendenza. Ha cominciato nel 1918, quando degli ambienti politici che ruotavano attorno allo sciopero generale stavano preparando una rivoluzione diffondendo delle idee comuniste in tutto il paese. 25 anni più tardi, durante la seconda guerra mondiale, la Svizzera subiva pressioni affinché si allineasse sulla Germania hitleriana. Anche in quel momento ci volle, per preservare la Svizzera, la forza delle cittadine e dei cittadini bramosi di libertà, pronti ad assumersi dei rischi per difendere il loro paese. E ancora 25 anni più tardi, benché in maniera molto meno drammatica, il 1968 fu per gli ambienti di sinistra una nuova occasione per proporre un’esperienza comunista. Un nuovo quarto di secolo dopo questi avvenimenti, nel 1992, fu la battaglia contro lo Spazio economico europeo (SEE) che il popolo svizzero rifiutò in occasione di una votazione memorabile, con la partecipazione dell’80%, preservando ancora una volta l’indipendenza e la libertà del suo paese. Oggi, 25 anni dopo quello scrutinio, aspettiamo con interesse le proposte che farà la settimana prossima il nuovo ministro degli affari esteri, Ignazio Cassis, in merito alle relazioni fra la Svizzera e l’UE. L’UDC tiene a riaffermare che, per lei, la stipulazione di un accordo-quadro sulla base del mandato negoziale attuale non costituisce una soluzione accettabile.

Il 21 dicembre 2012, Bruxelles ha preteso da Berna un’« integrazione istituzionale» della Svizzera nell’Unione europea. Il Consiglio federale ha risposto proponendo la stipulazione di un accordo-quadro. In un’intesa preventiva, firmata il 13 maggio 2013, il Consiglio federale ha accettato di fare tre concessioni all’UE:

  • la Svizzera riprende automaticamente tutte le decisioni e le leggi dell’UE che Bruxelles designa unilateralmente come essere «rilevanti per il mercato interno»;
  • la Svizzera accetta la Corte di giustizia UE come ultima istanza, quindi senza possibilità di ricorso, per giudicare eventuali divergenze d’opinione nell’interpretazione di accordi bilaterali fra Berna e Bruxelles;
  • la Svizzera dà all’UE un diritto di sanzionarla nel caso che non voglia o non possa applicare una sentenza della Corte di giustizia UE.

Con un accordo-quadro basato su tali esigenze, Berna e Bruxelles annullano di fatto la via bilaterale. La Svizzera non sarebbe più un partner a parità di diritti nei negoziati, bensì diventerebbe una semplice esecutrice degli ordini di Bruxelles. Quindi, quando i sostenitori dell’accordo-quadro argomentano che questo sarebbe necessario per permettere il proseguimento della via bilaterale, mentono a loro stesi e a noi. Questo accordo-quadro è un trattato di sottomissione, anche se i suoi difensori preferiscono utilizzare dei termini eufemistici come accordo d’amicizia o accordi bilaterali III. Quest’accordo è anche un attacco frontale alla democrazia diretta. Le Svizzere e gli Svizzeri potrebbero sì pronunciarsi sugli accordi stipulati con l’UE, ma con una pistola puntata alla tempia. Perché? Perché ogni votazione avverrebbe sotto la minaccia che tutti gli accordi cadrebbero se la Svizzera non riprendesse una nuova legge dell’UE. Abbiamo fatto questa esperienza con l’accordo di Schengen. Il diritto d’iniziativa e di referendum sarebbe ridotto a una farsa, perché l’UE disporrebbe di un diritto di emettere sanzioni contro la Svizzera nel caso che quest’ultima non riprendesse una decisione di Bruxelles.

Nel dibattito sull’accordo-quadro di queste ultime settimane, si è appreso che certi ambienti considerano problematica la ripresa automatica del diritto UE, ma non ne traggono peraltro le conseguenze che la logica impone. Per esempio, Stefan Breitenmoser, professore di diritto all’università di Basilea e giudice del Tribunale federale amministrativo di San Gallo, come pure Simon Hirsbrunner, avvocato e partner dello Studio Steptoe & Johnson di Bruxelles, constatano che delle regolamentazioni controverse di natura politica potrebbero essere toccate da modifiche legali che la Svizzera dovrebbe riprendere automaticamente. Essi citano, per esempio, il progetto di accordo sull’elettricità che avrebbe una grande influenza sul diritto energetico della Svizzera, come pure la giurisprudenza della CGUE nei settori particolarmente toccati come la libera circolazione delle persone e la politica fiscale, compresa l’imposizione delle imprese. Il divieto di aiuti statali potrebbe imporsi nella nostra giurisprudenza, per cui dei vantaggi fiscali offerti ad aziende straniere, o un prestito senza interessi concesso da una città a un’associazione sportiva, diventerebbero impossibili. Un fatale accordo sui servizi finanziari rimetterebbe in questione anche la garanzia dello Stato che i cantoni offrono alle banche cantonali.

Ci si può anche chiedere perché Christian Levrat, presidente del partito socialista, chiede una rapida conclusione dell’accordo-quadro, quando questo rimetterebbe fortemente in questione le misure d’accompagnamento negoziate nell’ambito dell’accordo di libera circolazione delle persone. Daniel Lampart, capo-economista dell’USS, così si è espresso al riguardo: «È determinante per noi, che la Corte di giustizia dell’UE non possa decidere sulle misure d’accompagnamento, perché in questi ultimi anni ha preso diverse decisioni contrarie agli interessi dei lavoratori.» È quanto avevamo chiaramente detto al Consiglio federale quando questo definì il mandato negoziale. A nostro avviso, nessuna disposizione di questo accordo-quadro è d’interesse per la Svizzera. L’ex-mister prezzi, Rudolf Strahm, mette anche lui in guardia contro una diluizione delle misure d’accompagnamento: «Il grande pomo della discordia dell’accordo-quadro concerne le misure d’accompagnamento per la protezione dei salari nell’ambito della libera circolazione delle persone. Il 90% delle cause depositate contro la Svizzera presso il comitato misto Svizzera-UE concerne infatti le misure che la Svizzera ha preso per proteggere i salari, come pure le arti e mestieri.» Questo aspetto è volentieri passato sotto silenzio dalla Berna federale.

Nei settori politici importanti come la politica energetica, fiscale, di promovimento e di tutela dei lavoratori – questa lista è lungi dall’essere esaustiva – la Svizzera non potrebbe quindi più decidere in maniera autonoma. Come si può osare, in queste condizioni, affermare che questo accordo-quadro sarebbe nell’interesse della Svizzera? Dovrebbe essere chiaro per tutti i partiti politici. Quando la presidente della Commissione di politica estera, Elisabeth Schneider-Schneiter (PPD), e la presidente del Partito liberale radicale, Petra Gössi, si profondono in considerazioni sulla forma di risoluzione dei litigi, il loro vero obiettivo è di sviare l’attenzione dal nocciolo del problema, ossia la ripresa automatica e obbligatoria del diritto straniero da parte della Svizzera e, di conseguenza, la soppressione dei diritti democratici nei settori essenziali.

Questa tattica di dissimulazione è stata praticata anche durante l’incontro della consigliera federale Doris Leuthard, allora presidente della Confederazione, con Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione UE.

Sembra pure che si sia tentato, nell’ambito di un incontro segreto fra Juncker, Leuthard e Pfister, di trovare una via d’uscita dal vicolo cieco dell’accordo-quadro. Da quel momento, infatti, si parla spesso di una risoluzione dei litigi che passi dalla Corte di giustizia dell’ASELS invece che da quella dell’UE. Ma tutto ciò è secondario, perché le due corti di giustizia sono dei tribunali stranieri e la ripresa automatica e obbligatoria del diritto UE rimane una realtà. Questo incontro segreto è del resto una mostruosità. Durante l’ora delle domande dell’ultima sessione parlamentare, ho chiesto al Consiglio federale di rispondere alla domanda seguente: Può il Consiglio federale confermare che, come dice il settimanale «NZZ am Sonntag», la presidente della Confederazione, Doris Leuthard, ha incontrato, subito dopo la visita ufficiale del presidente della Commissione UE, Jean-Claude Juncker, quest’ultimo e il presidente del PPD Pfister, per un colloquio segreto e ufficioso, lo scorso 23 novembre? Il Consiglio federale e, in particolare, il capo del DFAE, Ignazio Cassis, sono stati informati, prima o dopo quest’incontro, circa il contenuto dei colloqui?

Risposta del Consiglio federale il 04.12.2017: è normale che dei partiti politici amici abbiano degli scambi di vedute. Siccome, nel caso di questo incontro, si trattava di un breve colloquio informale fra partiti, il Consiglio federale non è stato informato. Sono stati affrontati diversi temi politici d’attualità. Le decisioni in materia di politica europea sono competenza del Consiglio federale. Dal punto di vista del protocollo, la visita di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione UE, non era una visita di Stato, ma una visita ufficiale. Non è usuale informarne i presidenti delle commissioni di politica estera, o addirittura di integrarli nel programma.

Non si sa se questo incontro abbia poi causato qualche agitazione da parte dell’UE, perché le si è promesso più di quanto si potesse mantenere. Ciò che è certo, invece, è che dei modi d’agire come questo incontro segreto sono intollerabili, in particolare quando si tratta di questioni importanti che toccano il futuro del paese. Immaginatevi le urla dei media se, prima di una visita ufficiale, ci fosse un incontro segreto fra Juncker, Maurer e Rösti. Si sarebbero reclamate delle teste.

Conclusione: che cosa è esattamente questo accordo-quadro? La versione che ce ne viene data oggi è chiaramente un trattato di sottomissione. Coloro che approvano questo accordo abbandonano il loro diritto di voto a favore di Bruxelles. L’UDC metterà perciò in atto tutto quanto possibile per impedire un disastro per l’autodeterminazione della Svizzera.

Il contributo di 1,3 miliardi di franchi per aiutare i paesi dell’Est europeo deve essere rifiutato. Il semplice fatto che il Consiglio federale versare questo importo – di denaro dei contribuenti – a Bruxelles, senza porre la benché minima condizione, è un’assurdità. Detto questo, rifiuteremmo questi 1,3 miliardi di franchi anche se fossero soggetti a delle condizioni, tanto più che si cerca di dissimulare questo regalo come prezzo da pagare per l’accesso al mercato interno. Molti dei paesi destinatari registrano dei tassi di crescita dal 3 al 4% del loro PIL e sono in parte in concorrenza diretta con gli esportatori svizzeri. Essi non hanno certamente bisogno di questo aiuto allo sviluppo. Se effettivamente si trattasse di un prezzo da pagare per l’accesso al mercato interno, dovremmo mettere sulla bilancia anche l’accesso al mercato svizzero che offriamo all’UE. La bilancia commerciale negativa per la Svizzera e la nostra posizione di terzo partner commerciale dell’UE ci permetterebbero in realtà di fatturare noi diverse centinaia di milioni di franchi all’UE.

La terza misura, ossia la soppressione del diritto di bollo che l’UDC chiede da molto tempo, deve essere rapidamente presa per rafforzare la piazza finanziaria svizzera nei confronti delle pressioni esercitate dall’UE, che ha rifiutato in modo del tutto arbitrario di riconoscere la borsa svizzera. Ecco come un paese forte e indipendente deve reagire!

Infine, l’iniziativa per la limitazione che abbiamo lanciato lo scorso 16 gennaio – vi ricordo che i formulari per la firma sono sui tavoli – permetterà alla Svizzera di recuperare una parte del suo margine di manovra e di riprendere il controllo dell’immigrazione sul suo territorio. Dall’introduzione della libera circolazione delle persone con l’UE, quasi un milione di persone in cifra netta è immigrato nel nostro paese. Una Svizzera di 10 milioni d’abitanti sarà ben presto una realtà, con le conseguenze drammatiche che si possono ben immaginare per la nostra società. E perché? Perché la Svizzera ha stipulato con l’UE un accordo totalmente irrealistico che permette a circa 500 milioni di cittadini UE d’immigrare e insediarsi liberamente da noi. Nessun altro paese indipendente al mondo ha abbandonato così completamente il controllo dell’immigrazione. Vi invito a raccogliere fin da adesso le firme, affinché la Svizzera possa di nuovo gestire l’immigrazione sul suo territorio.

Ho il piacere di aprire quest’assemblea dei delegati, che si prospetta appassionante con una discussione su temi estremamente importanti per la nostra democrazia, come la libertà e il ruolo dei media.

Albert Rösti
Albert Rösti
Consigliere nazionale Uetendorf (BE)
 
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